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February 21, 2008

OCCHI FELINI DALLE STELLE

Dai ruderi delle civiltà sumeriche alla giungle guatemalteche e messicane, fino alle sconfinate pianure del Deserto di Gobi, emergono immagini di un medesimo culto ancestrale, ora scolpite nella pietra ora tramandate attraverso molteplici generazioni in leggende e tradizioni riscontrabili negli attuali usi e costumi locali: il mito di divinità dalle fattezze feline, o meglio a metà strada fra l'uomo ed il felino, esponenti di una stirpe sconosciuta che si narra sia "discesa dalle stelle". Presso gli Olmechi dell'America Centrale tali esseri presero il nome di "uomini giaguaro" e ancor oggi gli indigeni, riferendosi a quelle antiche raffigurazioni, parlano esplicitamente di "guerrieri stranieri" o di "guerrieri della notte", una possibile allusione allo spazio cosmico. In Mesopotamia invece, come nell'isola di Creta e notoriamente anche in Egitto, venne presa ad emblema dal misterioso popolo l'immagine del leone: si vedano i famosissimi bassorilievi e maschere ritraenti la possente fiera, non a caso attributo di forza e divinità di re e sovrani, nonché ovviamente la stessa sfinge. Infine nel Celeste Impero (come del resto anche presso i Maya) la scelta per designare il sovrumano cadde sulla tigre: significativamente ancor oggi si dice che gli sciamani della Mongolia ed i monaci tibetani, cadendo in trance, entrano in contatto con i "signori di tutte le cose" che hanno appunto "volti di tigre e volano su uccelli di fuoco".Sorprenderà a questo punto constatare come le propaggini di questo antichissimo e misterioso culto, un tempo di portata quasi planetaria, si estendano sino al moderno tema degli UFO, di per sé del resto espressamente collegato ai sopra menzionati "carri" o "vascelli infuocati", il cui ricordo è così spesso ricorrente nelle leggende e nei testi sacri di innumerevoli culture.Il discorso è rivolto a quegli episodi ufficialmente noti di contatto ravvicinato con creature, la cui morfologia richiama manifestamente i tratti di quegli uomini gatto scesi dal cielo migliaia di anni fa.In Italia conosciamo a questo riguardo due casi, risalenti agli anni Sessanta, ma divulgati solo parecchi anni più tardi.Il primo, in ordine di trattazione, avvenne nell'estate del 1968 in Val di Fassa, sulle Dolomiti, ed ebbe come protagonista il rappresentante di un'industria automobilistica. Reso di pubblico dominio nel 1979, esso trovò eco anche all'estero, attraverso le più quotate riviste dedicate alla problematica degli oggetti volanti non identificati, come la tedesca "UFO Nachrichten" e la britannica "Flying Saucer Review", sulle quali furono riportate le interviste che figure storiche, come il maggiore Colman von Keviczky e la cugina di Jung, Lou Zinstag, personalmente effettuarono al testimone: un uomo la cui coscienza apparve profondamnete influenzata da quell'esperienza, soprattutto nel rapporto con la religione, la politica e le cose terrene in genere.Il resoconto qui presentato appoggia sulle memorie che egli racchiude nel testo "Flying Saucer Seen in the Dolomites", del 1968 e su n suo pubblico intervento, tenuto in occasione d una conferenza internazionale a Magonza, in Germania.Il secondo caso, qui ripercorso, si verificò invece sulle colline circostanti Bologna, sul finire del 1962, e vide il palesarsi di esseri estremamente simili nei lineamenti e nell'abbigliamento all'alieno che sei anni più tardi sarebbe stato avvisato in Val di Fassa: pochissimo conosciuto sino ad un quindicennio fa, se non per una lettera anonima che il testimone, poche settimane dopo l'evento, aveva inviato alla rivista "Settimana Incom", contestualmente ad un articolo relativo ad un avvistamento UFO, riferito sulle colonne della medesima. Su di esso gravò per anni il sospetto che si trattasse dell'ideazione di un mitomane.Solo nel 1986, con la casuale individuazione dell'interessato, la cui vera identità è a tutt'oggi coperta da un nome fittizio, fu possibile "disseppellire" tale vicenda e valutarla in una luce completamente diversa. Si trattò peraltro di una ricerca le cui risultanze furono espressamente confinate, dagli stessi "riesumatori" del caso, a pochi "addetti ai lavori" e soprattutto sostanzialmente ridotta ad un arido e distaccato resoconto sul fatto in sé, in quanto priva di alcun "close up" sulla storia personale e la psicologia del testimone, non fosse che per il vago accenno allo stato d'animo tangibilmente scosso che questi ancora evidenziava rievocando il lontano episodio. Di qui lo spessore apparentemente inferiore del caso in questione rispetto al precedente.Lo "straniero" dal lungo passo felpatoQuella notte del primo sabato del luglio 1968, il rappresentante industriale Walter Marino Rizzi, di Bolzano, era ben lungi dal prevedere ciò che il destino aveva in serbo per lui, che mentre percorreva a bordo della propria auto il Passo Gardena, sulle Dolomiti, intenzionato a raggiungere la località di Campitello, ove la zia gestiva un Hotel, stava in realtà andando incontro all'esperienza più sconvolgente della sua vita. Erano da poco trascorse le 24 quando, imbattutosi improvvisamente in densi banchi di nebbia, alquanto inusuali per la stagione, fu costretto a fermarsi, completamente privo di visuale. Scorto nelle immediate adiacenze un piccolo piazzale, decise di fermare la vettura per trascorrere lì la notte, desistendo ragionevolmente dal proposito di proseguire un viaggio in condizioni così rischiose. Poco dopo essersi addormentato, venne bruscamente destato da un acre odore di bruciato. Temendo che la sua Seicento stesse prendendo fuoco, per via di un ipotetico corto circuito, volle dare un'occhiata al motore, ma riscontrò che ogni cosa era a posto. Stava ancora ispezionando la macchina, quando scorse sotto di lui, sul lato opposto della strada, a circa 500 metri di distanza, un potente bagliore luminoso che scaturiva attraverso uno squarcio della coltre di nebbia. Sembrava a prima vista la terrazza di un albergo illuminata a giorno: l'unico problema era che in quella zona, a lui estremamente famigliare, di alberghi non ve n'era l'ombra... Avvicinatosi alla fonte dello strano fenomeno, constatò, allibito, la presenza di un enorme oggetto discoidale, immerso in una specie di luce lattiginosa: la strana macchina, sormontata da una cupola trasparente, poggiava su tre sostegni, e misurava, circa settanta-ottanta metri di diametro."Arrivato a cinquanta metri, notai che sul lato destro del disco c'era un robot cilindrico alto due metri e mezzo, con tre gambe e quattro braccia, che teneva la parte esterna dell'oggetto, e la faceva girare come se stesse riparando un guasto... ora vedevo perfettamente: era di un alluminio chiaro, che a volte pareva quasi trasparente... la luce bianca terminava a circa cinquanta centimetri dal disco, come se fosse un muro... Arrivato ove iniziava il muro di quella strana luce, mi sentii di colpo bloccato, come se il mio corpo pesasse mille chili; ero incapace di muovermi e facevo molta fatica a respirare. Vi era dintorno un gran calore ed un fortissimo odore di bruciato... La cupola di vetro sulla sommità del disco era particolarmente rilucente e vidi due esseri che guardavano giù..."In quel preciso momento una specie di botola si aprì nella parte inferiore dell'UFO, sprigionando una densa luce viola ed arancione, dalla quale emerse una strana figura vestita di un casco di vetro e di una aderente tuta argentea, provvista di una vistosa cintura posta in corrispondenza della vita, che gli si fece incontro con dei lunghi passi, "sfiorando" il terreno."Sembrava alto poco più di un metro e sessanta... e quando fu a poco più di un metro da me, alzò la mano destra e mi guardò fisso negli occhi... Aveva i capelli cortissimi, castano chiaro... I suoi occhi erano bellissimi, più grandi dei nostri, leggermente obliqui, come quelli di i un gatto, con la parte bianca color nocciola, l'iride azzurro-verde e le pupille ovali, che si contraevano continuamente. Anche il naso, molto piccolo, ricordava quello dei felini. Le sue labbra erano sottilissime e quando sorrise vidi che aveva dei denti bianchi e regolari. La pelle era color verde oliva chiaro e levigata come una gomma... Quello che mi colpì maggiormente in lui erano le gambe e le braccia: i piedi sembravano degli zoccoli, mentre l'avambraccio era molto più lungo del normale; le mani, guantate, mi parevano sottili e lunghe."Il contatto visivo ravvicinato con lo sconosciuto trasmise nel testimone una sensazione di improvvisa ed illimitata felicità:"Mi sentivo ora libero e leggero come una piuma... Non trovo le parole adatte per descrivere lo stato d'animo che avevo, era una sensazione celestiale; volli abbracciarlo ma di colpo mi sentii di nuovo bloccato, e lui con il braccio mi fece cenno di non farlo. Volli allora chiedergli in italiano da dove venisse... Non ebbi neanche il tempo di formulare la domanda, che già nel mio cervello ebbi la risposta... Così si svolse tutta la nostra comunicazione: egli mi leggeva nel pensiero, dandomi all'istante la risposta."Con queste ultime parole è eloquentemente descritto il processo di interscambio telepatico, sotto la cui egida si articolò l'intero incontro.Da questo momento l'alieno cominciò ad erudire l'interlocutore terrestre sul proprio mondo di provenienza, un pianeta molto lontano dalla nostra galassia, grande quasi due volte il nostro e provvisto di due soli, uno più grande ed uno più piccolo, determinanti un lungo giorno ed un lungo crepuscolo, a fronte peraltro di una notte brevissima; aggiunse inoltre che il mondo in questione possedeva un panorama di sconfinata bellezza dato da montagne altissime e vegetazione lussureggiante. Poi, passò a descrivere gli usi e costumi vigenti nella propria avanzatissima società, fornendo il classico quadro utopico-idealistico, ricorrente in numerosi resoconti contattistici: rapporti collettivi armonici, indole vegetariana e non violenta degli abitanti, vita molto più lunga della nostra e totale assenza di malattie. In particolare, affermò che la longevità, sul proprio pianeta, era assicurata da una tecnologia in grado di "rigenerare continuamente e potenziare le cellule dell'organismo" (1), per cui la morte sopraggiungerebbe nel soggetto solo con il totale esaurimento del ciclo energetico interno.Altri dettagli dell'inconsueta divulgazione furono ovviamente rivolti alle peculiarità fisiche e metaboliche della propria prodigiosa specie spaziale: una pelle il cui colore verde oliva era solo apparente, in quanto mero prodotto della ricezione dello spettro elettromagnetico, tipica dei terrestri; un organismo molto semplice, dato da un apparato digerente privo dei relativi annessi, ma per contro provvisto di un cuore e polmoni alquanto sviluppati, in funzione della necessità di una consistente immissione d'aria per la nutrizione di sangue e cervello. Circa quest'ultimo l'essere spiegò che era di dimensioni doppie rispetto al nostro ed in grado di compiere cose che a noi sarebbero impossibili (2); inoltre esso accennò alla propria robusta struttura corporea data da muscoli potenti, concepiti per resistere alla forte pressione atmosferica del pianeta di origine. Un ultimo tratto caratteristico, in rapporto all'uomo, era l'assenza di differenziazioni legate al sesso, motivata da una riproduzione non dipendente da accoppiamento.Particolari alquanto interessanti, alla luce delle nozioni di cui oggi disponiamo sulle presunte caratteristiche tecnico meccaniche degli UFO, affiorano anche dalle osservazioni del testimone sul grande oggetto discoidale: veramente notevoli in un'epoca nella quale vigeva a questo riguardo, presso i pochissimi studiosi, una visione alquanto "naive", di fatto mutuata dalla pubblicistica fantascientifica:"Ogni tanto scrutavo il disco per capire come era costituito: non vi era una saldatura o bulloni e giunture: sembrava 'fuso in un sol pezzo'. La composizione del suo materiale, mi disse, era mille volte più resistente di un qualsiasi nostro. Inoltre aveva la proprietà di 'autosaldarsi automaticamente'." (3) L'alieno trasmise inoltre al Rizzi dettagli in merito ai grandi veicoli madre, vere e proprie portaerei siderali che coprono le distanze interstellari, "in grado di arrivare sino a cinque chilometri di diametro", ed all'energia propulsiva che essi sfruttano, derivante "dai sistemi solari e dai campi di attrazione e repulsione dei pianeti"; una fonte di "inesauribile e terrificante potenza", con la quale l'avanzatissima tecnologia perviene a velocità ben superiori a quelle della luce: "Eliminano le distanze all'istante, trasferendo la materia, e quindi loro stessi, compresi i loro mezzi."Altro interessantissimo particolare di questa comunicazione si riscontra nel punto in cui l'essere informò il terrestre di strani corpi celesti, alquanto temibili per la navigazione spaziale: "Il solo pericolo per questi grandi dischi sono dei pianeti la cui attrazione magnetica è spaventosa anche a grandi distanze; la compattezza di questi pianeti è tale che un solo metro cubo di esso pesa più del nostro sistema solare." Il pensiero a questo punto non può che correre ai famosi Buchi Neri; vi è però un dato che non può che sconcertare: il fatto che tali corpi furono per la prima volta scoperti nel 1971, vale a dire ben tre anni più tardi l'incontro ravvicinato del Rizzi!Non mancò neppure un inquietante vaticinio sul futuro del pianeta Terra, come da prassi frequentemente riscontrata nella casistica degli incontri con entità extraumane:"Volli inoltre sapere perché non ci facessero partecipi delle loro conoscenze tecnologiche e perché non rimanessero con noi per un certo tempo... Replicò che era impossibile per loro interferire con l'evoluzione di un altro pianeta; che trascorrere del tempo nel nostro sistema solare li avrebbe fatti invecchiare precocemente, e infine che non avremmo mai raggiunto il loro stadio evolutivo, per via della precarietà della crosta terrestre: in un prossimo futuro avverrà uno spostamento dei poli e questo produrrà una vasta apertura nella crosta terrestre, provocando cataclismi che distruggeranno l'ottanta per cento della popolazione mondiale, lasciando solo una stretta striscia di terra inabitabile per i superstiti."I pensieri del terrestre corsero quindi all'immagine di Dio, chiedendo allo straniero se un credo del genere esistesse anche sul suo lontano pianeta. Dapprima apparentemente confuso, l'essere rispose che per loro Dio è ovunque: nelle piante, negli animali, nelle rocce, nell'erba ed in tutta la natura esistente, e che da come ci si comporta verso quanto ci circonda, si ricevono determinanti influssi positivi o negativi.Nel frattempo il robot, cessato il proprio lavoro, era divenuto più piccolo, e sfiorando il terreno si era avvicinato alla parte inferiore del disco, in corrispondenza della botola dalla quale fuoriusciva una luce arancione. Con estremo rammarico Rizzi avvertì ché l'incontro stava volgendo al termine:"Venni preso dalla disperazione, pensando che non l'avrei più rivisto. Gli chiesi, lo supplicai di prendermi con loro... mi disse che non era possibile: il mio organismo non avrebbe sopportato le loro vibrazioni ed energie; allora, preso dalla disperazione, mi misi in ginocchio e piangendo lo pregai di darmi qualcosa di lui. Mi fissò con il suo meraviglioso sguardo, dandomi ancora quella sensazione di pace e tranquillità e nel contempo allungò il suo braccio destro, sfiorando la mia spalla sinistra, e mi sentii sollevare da terra come una piuma..."Contemporaneamente lo straniero amico indietreggiò lentamente, e alzando il braccio destro in direzione del terrestre, in segno di saluto, si portò al centro del disco, ponendosi di fianco al robot, e scomparendo in un fascio di intensissima luce."In quell'istante una forza invisibile mi sospinse lontano dal disco: cercai di fermarmi ma era come se fossi trasportato di peso. Solo dopo circa duecento metri potei fermarmi. Con emozione mi misi a guardare la partenza, la luce bianchissima ovattata che avvolgeva il disco cominciò ad affievolirsi, i sostegni rientrarono... il rotore esterno prese a girare vorticosamente, silenzioso, la luce cominciò a divenire sempre più intensa... giunto ad un altezza di trecento metri, l'alone che circondava l'oggetto divenne bianchissimo, nel contempo udii come un fischio che mi ruppe quasi i timpani, e come una schioppettata si alzò in cielo verso Nord Est e sparì..."Brancolando l'uomo si portò alla sua auto, pizzicandosi più volte come per accertarsi che non fosse reduce da un comune sogno... Malgrado scosso e sconcertato, sentiva che quel giorno aveva aperto un capitolo completamente nuovo della sua vita.Improvvisatosi "field investigator", Rizzi fece più sopralluoghi nei giorni che seguirono sul punto dell'atterraggio, raccogliendo qua e là campioni vegetali e minerali, e scattando foto."Con mia grande sorpresa - ricorderà - mi accorsi che sull'area ove era caduta la luce abbagliante, l'erba era cresciuta tre volte più alta rispetto a quella circostante." (4) A casa egli cercò inutilmente di rendere edotto il cugino della propria straordinaria avventura, ma questi, pur constatando in lui uno stato d'animo effettivamente alquanto atipico, reagì con una risata alla narrazione, insinuando che egli si fosse ubriacato. Riuscì peraltro a trovare pieno ascolto e fiducia da parte della figlia, che egli, allo scopo, raggiunse in California, ove si era trasferita.Deciso a divulgare la storia del suo contatto, con l'aiuto della congiunta, prese a spedire innumerevoli lettere a tutti gli indirizzi che comparivano sulle riviste americane dedicate agli UFO. Non ricevendo alcuna risposta, rientrò in Italia, del tutto rassegnato all'idea di dover tenere per sé la propria avventura, come avrebbe fatto per parecchi anni a venire.Ma l'incredibile avventura del Rizzi aveva trovato una curiosissima anticipazione in un episodio avvenuto parecchi anni prima, durante la guerra. Nel 1941/42, il nostro protagonista era di stanza a Rodi, in Grecia, ove prestava servizio come meccanico aeronautico e interprete per l'aeronautica italiana e tedesca all'aeroporto di Gadurra. Un giorno, su invito di una bambina che andava spesso a trovarlo al campo, si fece condurre in cima ad una montagna, dove dimorava un singolare personaggio, detto il "Santone", un vero e proprio eremita. Come l'uomo si avvide dell'arrivo dell'italiano, alzò la mano destra, in segno di saluto, proprio come avrebbe fatto lo "straniero" dai tratti felini parecchi anni dopo. E alla stessa stregua del misterioso Visitatore, il vecchio prese ad erudire il Rizzi con nozioni "fantastiche" agli occhi di quest'ultimo, parlando di un universo ricco di pianeti abitati, e della possibilità di viaggiare nello spazio con il proprio corpo astrale, superando in tal modo le enormi distanze cosmiche. Un singolare accenno fu dedicato dal "Santone" agli abitanti di tali mondi, alcuni dei quali, precisò, sarebbero in possesso di avanzatissime tecnologie date da mezzi di trasporto capaci di viaggiare con la velocità dei fulmini. "I vostri aerei - affermò - fanno ridere in confronto!" Su richiesta dell'ospite, il vecchio prese a tracciare per terra i profili di quelle macchine, a suo dire così straordinarie. Con spirito di distacco il Rizzi constatò fra sé che quei disegni descrivevano incomprensibili ed inverosimili ordigni circolari, che mai avrebbero potuto levarsi in volo in quanto del tutto privi di ali e di eliche... Intuito lo scetticismo dell'italiano, il vecchio concluse sorridendo: "Verrà un tempo in cui dovrai ricrederti..." tratteggiando così vagamente in quelle parole ciò che un giorno si sarebbe effettivamente verificato."Occhi brillanti nella notte"Verso le 21.30 del 9 dicembre 1962, il Sig Antonio Candau stava percorrendo a piedi una strada collinare di Bologna, la Via Codivilla, un vialone alberato, a quell'ora praticamente deserto, quanto a passanti e a traffico. Le condizioni di luminosità erano più che buone, grazie ad un cielo del tutto terso, anche se privo di luna, ed ad una fila costante di lampioni, disposti lungo il tratto in questione. Improvvisamente la sua attenzione fu colta da uno strano sibilo che proveniva dall'interno dell'adiacente parco di San Michele in Bosco. Volto lo sguardo oltre la cancellata, un'incredibile scena si spalancò ai suoi occhi: a circa una decina di metri di distanza un "disco volante", secondo la definizione all'epoca in voga per gli odierni UFO, stava prendendo terra. L'oggetto, dalla classica forma a scodella rovesciata, misurava circa nove metri di diametro, ed era di colore "grigio oro" o "argento bronzato". Numerose luci multicolori, simili a segnali stroboscopici, giravano senza posa, con veloce intermittenza, sulla parte superiore dello scafo. Il disco atterrò, apparentemente senza effetto alcuno, sul terreno e senza muovere il copioso fogliame circostante, fermandosi a circa un metro dal suolo, cosa che fece dedurre al testimone la probabile presenza di strutture di sostegno. Una volta ferma, la "cosa" distava non più di tre o quattro metri dall'osservatore, che pertanto disponeva di un'ottima visuale. Improvvisamente sulla sommità dell'oggetto, una specie di "portello" si aprì lentamente verso il basso, a mo' di ponte levatoio, scoprendo un vano interno emanante una luce chiara, che rivelava il. progressivo delinearsi di due sagome apparentemente di tipo umano: le figure era come se stessero emergendo da una specie di scala interna. Completamente ribaltato verso l'esterno, sino a toccare il suolo, il "portello" rivelò internamente una serie di gradini, sui quali i due esseri presero a scendere. La loro statura misurava circa un metro e 70, indossavano un'aderente tuta gialla, che evidenziava una grossa cintura in corrispondenza della vita; al fianco destro portavano un qualcosa di scuro, ingenuamente ravvisato dal testimone in una "ricetrasmittente". Privi di casco, procedevano affiancati in perfetta sincronia con movenze da automi, e mostravano possedere capelli alquanto corti e scuri, mentre i loro volti erano caratterizzati da "vistosi occhi che brillavano nell'oscurità come quelli dei gatti". Presumibilmente accortesi della presenza del Candau, le entità fecero un simultaneo ed improvviso dietro front e presero a risalire la scaletta. Giunte in cima, il chiarore proveniente dall'interno del disco mise in evidenza il colore olivastro della loro pelle, prima che gradatamente scomparissero dalla visuale del testimone, esattamente come si erano dapprima palesate. Nel frattempo la scala si ritirava mentre il portello cominciava a richiudersi, muovendo dal basso verso l'alto. Prima ancora che la chiusura si fosse completata, il disco volante prese a staccarsi dal suolo, emettendo lo stesso sibilo iniziale precedente l'atterraggio e giunto ad una quota di circa 80-100 metri scomparve, deviando ad angolo retto verso Sud Ovest, al di sopra della collina di San Michele in Bosco.L'intero avvistamento era durato non più di due minuti e mezzo, un lasso di tempo che per quanto irrisorio era stato contraddistinto dalla assenza di ulteriori testimoni e durante il quale non si era verificata alcuna interferenza con gli impianti di illuminazione del posto.Il giorno successivo il Candau passò in rassegna le pagine del quotidiano locale, "Il Resto del Carlino", nella speranza di rintracciare notizie di avvistamenti di dischi volanti, che potessero convalidare la sua storia, ma non trovò riscontro alcuno. Un suo tentativo di confidarsi in proposito con il principale, con il quale aveva ottimi rapporti, ebbe come tutta risposta l'amichevole consiglio di non menzionare ad alcuno tale vicenda. Tornò più volte nei giorni successivi sul luogo dell'avvistamento, anche lui, come esattamente anni dopo avrebbe fatto il Rizzi, alla disperata ricerca di riscontri oggettivi del passaggio della "cosa", ma il terreno non evidenziò nulla di particolare ai suoi occhi, al di fuori di un'area nella quale l'erba appariva come schiacciata, cosa che peraltro era possibilmente da attribuirsi a fattori convenzionali. Sentendosi pertanto di fatto solo con se stesso e con il ricordo di quella breve ma straordinaria visione, il Candau scelse per lunghi anni il silenzio: un destino comune a moltissimi altri testimoni.
NOTE:
1. Se ad un freddo esame è possibile liquidare la descrizione idilliaca del lontano mondo del visitatore come il tipico invariabile concentrato di tutte le aspirazioni umane, nuova Terra di Utopia trasposta nello sconfinato cosmo, non può sfuggire a questo particolare proposito la singolarissima coincidenza con la vicenda di un contattista "storico" americano, George Van Tassel, della quale ben difficilmente il nostro protagonista, all'epoca, per sua stessa ammissione per nulla erudito di "marziani" e "dischi volanti" poteva essere al corrente. Come il Rizzi, anche Van Tassel incontrò un essere di un altro mondo, destandosi improvvisamente dal sonno. L'alieno, rivelatosi "amico", condusse il terrestre alla propria astronave e, dopo avergli concesso di effettuare un breve fantastico viaggio, gli consegnò i piani di un'incredibile "macchina in grado di rigenerare le strutture cellulari dell'essere umano": una vera e propria macchina dell'eterna giovinezza che il contattista, con entusiastico slancio cercò di riprodurre. li suo nome fu "The Integraton", un edificio di quattro piani con il tetto a forma di cupola, eretto a Giant Rock, località presso la quale egli prese ad organizzare delle periodiche Conventions ufologiche.
2. Illuminanti a questo riguardo sono i riscontri con le memorie di Philip Corso sulla struttura fisica delle EBE, riportate nel suo "Il Giorno Dopo Roswell" alle pagg. 92-93: "l'entità... possedeva un metabolismo lento come provato dall'enorme capienza di cuore e polmoni... Secondo il referto le grandi dimensioni del cuore prefiguravano un numero inferiore di battiti rispetto ad un cuore umano medio, per pompare il suo fluido semilinfatico latteo e poco denso... i patologi del Walter Reed poterono solo ipotizzare che funzionando sia come accumulatore passivo di sangue che come muscolo pompa era diverso dal cuore umano... Come i cammelli immagazzinano acqua, così la creatura immagazzinava tutta l'aria che immetteva nei propri capienti polmoni che rilasciavano molto lentamente l'aria all'interno dell'organismo della creatura".
3. Si confrontino ancora tali considerazioni con quanto ricorda Corso sulle particolarità del materiale proveniente dall'UFO di Roswell: "Tra gli oggetti recuperati c'era anche un campione di tessuto scuro di colore grigio argentato, una specie di foglio di metallo che era impossibile piegare, curvare, strappare o arrotolare, ma che ritornava alla sua forma originale senza sgualcirsi. Era una fibra metallica dalle caratteristiche fisiche che sarebbero poi state indicate come super resistenti. Tentai di tagliarla con delle forbici ma le lame scivolarono via senza lasciare neanche un graffio. Se si provava ad allungarla la fibra si ritraeva velocemente e notai che i fili erano tutti orientati nella stessa direzione... Non poteva essere tessuto ma era chiaro che non si trattava neanche di metallo. Per quanto ne potessi sapere da profano, era una combinazione di tessuto e di fili metallici morbidi che cadevano come stoffa, ma che possedevano la forza e la resistenza di un metallo" (Ibidem, pag. 46).
4. Inutile ricordare a questo riguardo gli innumerevoli riscontri dati dalle anomalie evidenziate sul terreno e la vegetazione offerti e dalla casistica degli IR2 e dalle similari manifestazioni collegate ai famosi crop circles.

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